The Doom that Came to Sarnath, a volte tradotto semplicemente come La Rovina di Sarnath, è una breve storia scritta da Howard Phillips Lovecraft nel 1919, e pubblicata per la prima volta sulla
rivista The Scot, nel 1920.
L' onirico racconto, parte del Dream Cycle, si riallaccia a storie come
Polaris, The Dream-Quest of Unknown Kadath, The case of Charles Dexter Ward e From Beyond.
Pare sia stato ispirato da un sogno..
Nella terra di Mnar c'è un gran lago interno che non viene
alimentato da fiumi e da cui non escono torrenti. Diecimila anni fa sorgeva su
quelle rive la città di Sarnath,
oggi scomparsa.
Si racconta che
negli anni lontanissimi in cui il mondo era giovane, e prima che il popolo di Sarnath arrivasse a Mnar, un'altra città
sorgesse nei pressi del lago: era chiamata Ib,
la capitale di pietra grigia, antica quanto il lago stesso e abitata da esseri
poco gradevoli. Erano creature brutte e strane, come lo sono spesso i figli di
un mondo ancora indefinito e in formazione. Sui cilindri di mattoni di Kadatheron è scritto che gli abitanti di Ib erano
di colore verde come il lago e le sue nebbie; che avevano occhi sporgenti,
labbra grosse e flaccide, orecchie strane. Non avevano voce, ma è scritto che
una notte arrivarono dalla luna in una spirale di nebbia, e che insieme a loro
giunsero il lago e la città di Ib. Sia vero o no, è certo che adorassero un
idolo di pietra verdemare che nella forma ricordava Bokrug, il gran rettile
acquatico, e che danzassero davanti a lui quando la luna era a tre quarti. E
sul papiro di Ilarnek è scritto che un giorno scoprirono il
fuoco, e da allora in poi lo accesero in molte cerimonie. Ma non si sa molto di
quelle creature, perché vissero in tempi antichissimi e l'uomo, che è giovane,
ignora quasi tutto delle forme di vita precedenti.
Dopo innumerevoli
cicli gli uomini arrivarono nella terra di Mnar: erano i pastori dai capelli
scuri che costruirono Thraa, Ilarnek e Kadatheron sul tortuoso fiume Ai. Alcune tribù, più
ardimentose delle altre, si avventurarono sulle sponde del lago e costruirono
Sarnath in un punto in cui abbondavano i metalli preziosi.
Le prime pietre di
Sarnath furono deposte non lontano dalla grigia Ib, e quando videro i suoi
abitanti i coloni si meravigliarono parecchio. Ma allo stupore era misto
l'odio, perché non ritenevano degno che esseri di quell' aspetto calcassero la
terra degli uomini, specie di sera, e non amavano le sculture sui grigi
monoliti di Ib, tanto antiche da far paura. Nessuno sa come quegli esseri e le
loro opere durassero così a lungo, addirittura fino alla comparsa dell'uomo: ma
forse la spiegazione sta nel fatto che la terra di Mnar è molto tranquilla e
lontana dalla maggior parte degli altri paesi, sia reali che di sogno.
Più gli uomini di
Sarnath osservavano gli abitanti di Ib, più il loro odio cresceva,
rinfocolato dalla scoperta che erano creature deboli e che al contatto di pietre,
lance o frecce risultavano molli e gelatinose. Così, i giovani guerrieri di
Sarnath si misero in marcia verso Ib armati di lancia, arco e fionde. Una volta
arrivati massacrarono le creature e gettarono i corpi nel lago con le lance,
perché non volevano toccarli; e siccome aborrivano i monoliti scolpiti di Ib,
gettarono nel lago anche quelli, chiedendosi come si potessero erigere oggetti
così pesanti (in tutta Mnar e nei paesi vicini non c'era niente di simile,
ragion per cui dovevano averli portati da lonta-no).
Così, dell'antica
città di Ib non fu risparmiato niente tranne l'idolo verdemare che
rappresentava Bokrug, il rettile acquatico. I giovani guerrieri lo portarono a
Sarnath come simbolo della vittoria sui vecchi dei e gli abitanti di Ib, ma
anche della loro supremazia su Mnar. Tuttavia, la notte che fu messo nel tempio
dovette accadere qualcosa di orribile, perché sul lago furono avvistate luci
verdi e la mattina la gente scoprì che l'idolo era scomparso. Quanto al gran
sacerdote, Taran-Ish, era morto per quello che sembrava un terribile spavento,
ma prima di spirare aveva tracciato sull' altare di crisolito il simbolo della
distruzione finale.
Dopo Taran-Ish ci
furono molti sacerdoti a Sarnath, ma l'idolo di pietra verde non fu ritrovato.
Passarono molti secoli, mentre la città prosperava in maniera incredibile, e
ormai solo i preti e le donne anziane ricordavano il segno che Taran-Ish aveva
tracciato sull'altare. Fra Sarnath e la città di Ilarnek fu costruita una
carovaniera e i metalli preziosi vennero scambiati con altri metalli, stoffe
rare, gioielli, libri, strumenti per tutte le arti e innumerevoli oggetti di
lusso noti alle popolazioni del fiume Ai e oltre. E Sarnath divenne forte,
raffinata e stupenda, e mandò eserciti a conquistare le città vicine. E col
tempo sedettero a Sarnath i re di tutta Mnar, e poi di numerose terre vicine.
Sarnath la sublime
era la meraviglia del mondo e l'orgoglio del genere umano. Le sue mura, di
marmo finissimo estratto dal deserto, erano alte trecento cubiti e spesse
settantacinque: i carri guidati sui bastioni avevano spazio per sorpassarsi.
Erano lunghe ben cinquecento stadi e aperte solo dalla parte che guardava il
lago, dove una grande diga di pietra teneva a bada le onde che una volta
all'anno, nella ricorrenza della distruzione di Ib, si alzavano misteriosamente
dalla superficie. A Sarnath c'erano cinquanta strade che correvano dal lago
alle porte delle carovane, e altre cinquanta le intersecavano. Erano
pavimentate d'onice, ma quelle su cui passavano cavalli, cammelli ed elefanti
erano coperte di granito. Le case di Sarnath erano di mattoni smaltati e
calcedonio, e ognuna aveva un giardino recintato e un laghetto di cristallo.
Venivano costruite con strani procedimenti, perché nel mondo non ce n'erano altre
simili, e i viaggiatori di Thraa, Ilarnek e Kadatheron si meravigliavano alla
vista delle cupole splendenti da cui erano sormontate.
Ma ancora più
belli erano gli edifici pubblici e i templi, e i giardini voluti dall'antico re Zokkar. E c'erano molti palazzi,
i minori fra i quali sarebbero passati per capolavori a Thraa, Ilarnek e
Kadatheron. Alcuni erano così alti che gli occupanti potevano immaginare di
essere in cielo, e quando venivano illuminati con torce bagnate nell'olio di
Dothur le pareti rivelavano enormi affreschi che raffiguravano re ed eserciti,
in uno splendore che ispirava e stupiva l'occhio. Le colonne che reggevano i
palazzi erano moltissime, tutte di marmo colorato e scolpite in motivi di
bellezza insuperabile. Nella maggior parte degli edifici i pavimenti erano
costituiti da mosaici di berillio, lapislazzuli, onice, carbonchio e altri
materiali sceltissimi, disposti in modo tale che l'osservatore aveva
l'impressione di camminare su letti dei fiori più pregiati. E c'erano fontane
della stessa bellezza che riversavano getti d'acqua profumata, creando effetti
scenografici. Ma il più bello era il palazzo del re di Mnar e delle altre
terre. Il trono poggiava su due leoni d'oro e numerosi gradini lo separavano
dal pavimento lucente: era ricavato da un unico pezzo d'avorio, anche se
nessuno ricorda da dove sia potuto venire un blocco simile. Nel palazzo c'erano
infinite gallerie e anfiteatri dove uomini, elefanti e leoni combattevano per
il piacere dei re. A volte gli anfiteatri venivano inondati con l'acqua portata
dai grandi acquedotti e si inscenavano battaglie navali o terribili
combattimenti fra uomini e micidiali creature marine.
I diciassette
templi turriti di Sarnath, slanciati e stupefacenti, erano fatti con una pietra
multicolore che non si conosce altrove; la torre più alta arrivava a mille
cubiti e al suo interno vivevano i sacerdoti, in una magnificenza che aveva
poco da invidiare a quella dei re. Al pianterreno, in sale enormi e splendide
come quelle dei palazzi, le folle adoravano Zo-Kalar, Tamash e Lobon, gli dei
principali di Sarnath, i cui altari avviluppati dal-l'incenso erano come troni
di monarchi. Le raffigurazioni di Zo-Kalar, Tamash e Lobon non somigliavano a
quelle degli altri dei perché erano così realistiche da dare l'impressione che
sui troni d'avorio sedessero gli dei barbuti in persona; e in cima a una scala
di splendidi zirconi si apriva la sala superiore, da cui gli alti sacerdoti
contemplavano di giorno la città, il lago e la pianura, e di notte la luna
misteriosa, le stelle e il loro riflesso nellago. Lì veniva recitato
l'antichissimo esorcismo contro Bokrug, il rettile acquatico, e lì era
collocato l'altare di crisolito su cui Taran-Ish aveva lasciato il simbolo
della distruzione.
Un'altra
meraviglia erano i giardini voluti dall'antico re Zokkar: si trovavano al
centro di Sarnath ed erano circondati da un alto muro, e protetti da una
possente cupola di vetro attraverso cui passava la luce del sole, della luna e
delle stelle quando era sereno. Se il tempo era coperto, fulgide riproduzioni
degli astri pendevano dalla volta. D'estate i giardini erano rinfrescati da
correnti profumate mosse da opportuni ventilatori, d'inverno erano riscaldati
da fuochi nascosti: in questo modo, al loro interno era sempre primavera.
Fiumicelli che scorrevano su sassi lucenti, ed erano attraversati da
numerosissimi ponti, dividevano giardini e aiuole di sfumature diverse; alcuni
si trasformavano in cascate, altri sfociavano in laghetti ornati di fiori. Sui
torrenti e i piccoli laghi nuotavano i cigni, mentre il canto di uccelli rari
riproduceva l'armonia delle acque. Le sponde verdi salivano a formare terrazze
ordinate e ornate qua e là da conche di fiori aromatici e vigne, da panche di
marmo e sedili di porfido. Infine, minuscoli tempietti o semplici altari
consentivano di riposare e pregare agli dei minori.
Ogni anno si
celebrava a Sarnath la festa della distruzione di Ib e in quell'occasione
abbondavano vino, canzoni, danze e divertimenti d'ogni tipo. Grandi onori
venivano tributati alle ombre di coloro che avevano annientato le misteriose
creature, e il loro ricordo e quello degli antichi dei veniva schernito da
ballerini e liutisti cinti di rose nei giardini di Zokkar. E il re si
affacciava sul lago e malediceva le ossa dei morti che giacevano sul fondo. In
un primo momento i sacerdoti non avevano gradito una festa del genere, perché
fra quelli della loro casta si tramandavano leggende sulla sparizione del
grande idolo e sulla morte di Taran-Ish, stroncato dalla paura dopo aver
vergato l'ultimo avvertimento; dicevano, inoltre, che dalla torre più alta si
vedessero luci nelle acque del lago. Ma col passare degli anni, e poiché non si
verificava nessuna calamità, anche loro cominciarono a ridere, a lanciare
maledizioni e ad unirsi alle orge dei festanti. Non avevano compiuto essi
stessi, nell'altissima torre, l'esorcismo contro Bokrug, il rettile acquatico?
Mille anni di abbondanza e piaceri trascorsero a Sarnath, meraviglia del mondo
e orgoglio di tutta l'umanità.
I festeggiamenti
per il millesimo anniversario della distruzione di Ib furono inconcepibili. Se
ne era parlato per dieci anni in tutta Mnar e quando si avvicinò la ricorrenza
arrivarono a cavallo, a dorso di cammello e di elefante uomini di Thraa,
Ilarnek, Kadatheron e di tutte le città di Mnar e paesi confinanti. Davanti
alle mura di marmo, la notte della festa, furono piazzate le tende di principi
e viaggiatori, e le sponde del lago risuonarono dei canti dei celebranti
felici. Nella sala del banchetto dormiva il re, Nargis-Hei, ubriaco dei vini
sottratti ai sotterranei di Pnath, la vinta, e circondato da nobili in festa e
schiavi concitati. Durante la festa vennero servite strane prelibatezze: pavoni
dalle isole di Nariel nell'Oceano di Mezzo, giovani capri dalle remote colline
di Implan, gobbe di cammello del deserto di Bnaz, noci e spezie dei boschi
cidatrici, perle di Mtal bagnata dalle onde disciolte nell'aceto di Thraa. Di
salse c'era una quantità incredibile, preparate dai cuochi più raffinati di
Mnar e adatte al palato di tutti i convitati. Ma la pietanza più ambita era
costituita dai gran pesci pescati nel lago, tutti enormi e serviti in piatti
d'oro incrostati di rubini e diamanti.
Mentre i nobili e
il re gozzovigliavano all'interno del palazzo, ammirando la portata principale
nei vassoi d'oro, altri si divertivano come potevano. I gran sacerdoti facevano
baldoria nella torre del tempio massimo e i principi dei paesi vicini li
imitavano nei padiglioni fuori le mura. Gnai-Kah, un sacerdote, fu il primo a
vedere le ombre che calavano nel lago dalla luna a tre quarti e le minacciose
nebbie verdi che si alzavano dalle sponde fino al cielo, avvolgendo in un alone
sinistro le guglie e i tetti della condannata Sarnath. Poi, quelli che si
trovavano nelle torri e fuori le mura videro strane luci sull'acqua e si
accorsero che il gran masso di Akurion, una sporgenza rocciosa che s'innalzava
maestosa nei pressi della riva, era quasi sommersa. Il terrore crebbe
rapidamente ma in modo insinuante, sic-ché i principi di Ilarnek e della
lontana Rokol ripiegarono tende e padiglioni e partirono alla volta del fiume
Ai, benché quasi non si rendessero conto del perché.
Poi, verso la
mezzanotte, le porte di bronzo di Sarnath si spalancarono e riversarono una
folla impazzita che annerì la pianura, poiché tutti i notabili e i viaggiatori
fuggivano in preda al terrore. Sui volti della folla era impressa
un'espressione di pazzia che nasceva da un terrore schiacciante, e sulle labbra
correvano parole così tremende che nessuno voleva soffermarsi a verificarle.
Uomini con gli occhi dilatati dalla paura gridarono a squarciagola ciò che
avevano visto nel salone reale, perché attraverso le finestre non apparivano
più le figure di Nargis-Hei e dei suoi nobili e schiavi, ma un'orda di creature
indescrivibili, silenziose e con gli occhi sporgenti, le labbra grosse e
flaccide e orecchie stranissime; creature che danzavano orribilmente,
stringendo nelle zampe piatti d'oro tempestati di gemme da cui guizzavano
fiamme grottesche. E principi e viaggiatori che fuggivano dalla condannata
Sarnath sui cavalli, cammelli ed elefanti, guardarono un'altra volta il lago
avvolto dalle nebbie e videro che il grigio spuntone di Akurion era ormai
sommerso.
I racconti di
quelli che erano fuggiti da Sarnath si diffusero in tutta Mnar e nelle terre
vicine, e le carovane impararono ad evitare la città maledetta e i suoi
preziosi metalli. Passò molto tempo prima che qualcuno osasse avventurarsi da
quelle parti, e anche allora solo i giovani della lontanissima Falona ebbero il
coraggio di affrontare il viaggio: uomini dai capelli biondi e gli occhi
azzurri che non avevano niente in comune con il popolo di Mnar. Gli avventurosi
si spinsero sul lago per vedere Sarnath, ma pur avendo individuato il lago e il
gran masso di Akurion che si innalza nei pressi della riva, non trovarono
traccia della meraviglia del mondo e dell'orgoglio dell'umanità. Dove un tempo
erano sorte mura di trecento cubiti e torri ancora più alte, ora regnava la
sponda paludosa; dove un tempo avevano abitato cinquanta milioni di uomini ora
strisciavano soltanto le verdi, detestabili lucertole acquatiche. Persino le
miniere di metalli preziosi erano esaurite, perché la rovina si era abbattuta
su Sarnath.
Ma, semisepolto
fra le pietre, venne intravisto uno strano idolo verde, un idolo antichissimo
incrostato d'alghe e modellato sulla figura di Bokrug, il gran rettile
acquatico. Quell'idolo, conservato nel tempio maggiore di Har-nek, fu adorato
in seguito in tutta la terra di Mnar, sotto la luna calante.
(The Doom that Came to Sarnath, H.P. Lovecraft, 3
dicembre 1919)