venerdì 23 marzo 2012

The Doom that Came to Sarnath (1919) - H.P. Lovecraft




The Doom that Came to Sarnath, a volte tradotto semplicemente come La Rovina di Sarnath, è una breve storia scritta da Howard Phillips Lovecraft nel 1919, e pubblicata per la prima volta sulla rivista The Scot, nel 1920.
L' onirico racconto, parte del Dream Cycle, si riallaccia a storie come Polaris, The Dream-Quest of Unknown Kadath, The case of Charles Dexter Ward e From Beyond.
Pare sia stato ispirato da un sogno..


Nella terra di Mnar c'è un gran lago interno che non viene alimentato da fiumi e da cui non escono torrenti. Diecimila anni fa sorgeva su quelle rive la città di Sarnath, oggi scomparsa.
Si racconta che negli anni lontanissimi in cui il mondo era giovane, e prima che il popolo di Sarnath arrivasse a Mnar, un'altra città sorgesse nei pressi del lago: era chiamata Ib, la capitale di pietra grigia, antica quanto il lago stesso e abitata da esseri poco gradevoli. Erano creature brutte e strane, come lo sono spesso i figli di un mondo ancora indefinito e in formazione. Sui cilindri di mattoni di Kadatheron è scritto che gli abitanti di Ib erano di colore verde come il lago e le sue nebbie; che avevano occhi sporgenti, labbra grosse e flaccide, orecchie strane. Non avevano voce, ma è scritto che una notte arrivarono dalla luna in una spirale di nebbia, e che insieme a loro giunsero il lago e la città di Ib. Sia vero o no, è certo che adorassero un idolo di pietra verdemare che nella forma ricordava Bokrug, il gran rettile acquatico, e che danzassero davanti a lui quando la luna era a tre quarti. E sul papiro di Ilarnek è scritto che un giorno scoprirono il fuoco, e da allora in poi lo accesero in molte cerimonie. Ma non si sa molto di quelle creature, perché vissero in tempi antichissimi e l'uomo, che è giovane, ignora quasi tutto delle forme di vita precedenti.

Dopo innumerevoli cicli gli uomini arrivarono nella terra di Mnar: erano i pastori dai capelli scuri che costruirono Thraa, Ilarnek e Kadatheron sul tortuoso fiume Ai. Alcune tribù, più ardimentose delle altre, si avventurarono sulle sponde del lago e costruirono Sarnath in un punto in cui abbondavano i metalli preziosi.
Le prime pietre di Sarnath furono deposte non lontano dalla grigia Ib, e quando videro i suoi abitanti i coloni si meravigliarono parecchio. Ma allo stupore era misto l'odio, perché non ritenevano degno che esseri di quell' aspetto calcassero la terra degli uomini, specie di sera, e non amavano le sculture sui grigi monoliti di Ib, tanto antiche da far paura. Nessuno sa come quegli esseri e le loro opere durassero così a lungo, addirittura fino alla comparsa dell'uomo: ma forse la spiegazione sta nel fatto che la terra di Mnar è molto tranquilla e lontana dalla maggior parte degli altri paesi, sia reali che di sogno.
Più gli uomini di Sarnath osservavano gli abitanti di Ib, più il loro odio cresceva, rinfocolato dalla scoperta che erano creature deboli e che al contatto di pietre, lance o frecce risultavano molli e gelatinose. Così, i giovani guerrieri di Sarnath si misero in marcia verso Ib armati di lancia, arco e fionde. Una volta arrivati massacrarono le creature e gettarono i corpi nel lago con le lance, perché non volevano toccarli; e siccome aborrivano i monoliti scolpiti di Ib, gettarono nel lago anche quelli, chiedendosi come si potessero erigere oggetti così pesanti (in tutta Mnar e nei paesi vicini non c'era niente di simile, ragion per cui dovevano averli portati da lonta-no).
Così, dell'antica città di Ib non fu risparmiato niente tranne l'idolo verdemare che rappresentava Bokrug, il rettile acquatico. I giovani guerrieri lo portarono a Sarnath come simbolo della vittoria sui vecchi dei e gli abitanti di Ib, ma anche della loro supremazia su Mnar. Tuttavia, la notte che fu messo nel tempio dovette accadere qualcosa di orribile, perché sul lago furono avvistate luci verdi e la mattina la gente scoprì che l'idolo era scomparso. Quanto al gran sacerdote, Taran-Ish, era morto per quello che sembrava un terribile spavento, ma prima di spirare aveva tracciato sull' altare di crisolito il simbolo della distruzione finale.

Dopo Taran-Ish ci furono molti sacerdoti a Sarnath, ma l'idolo di pietra verde non fu ritrovato. Passarono molti secoli, mentre la città prosperava in maniera incredibile, e ormai solo i preti e le donne anziane ricordavano il segno che Taran-Ish aveva tracciato sull'altare. Fra Sarnath e la città di Ilarnek fu costruita una carovaniera e i metalli preziosi vennero scambiati con altri metalli, stoffe rare, gioielli, libri, strumenti per tutte le arti e innumerevoli oggetti di lusso noti alle popolazioni del fiume Ai e oltre. E Sarnath divenne forte, raffinata e stupenda, e mandò eserciti a conquistare le città vicine. E col tempo sedettero a Sarnath i re di tutta Mnar, e poi di numerose terre vicine.
Sarnath la sublime era la meraviglia del mondo e l'orgoglio del genere umano. Le sue mura, di marmo finissimo estratto dal deserto, erano alte trecento cubiti e spesse settantacinque: i carri guidati sui bastioni avevano spazio per sorpassarsi. Erano lunghe ben cinquecento stadi e aperte solo dalla parte che guardava il lago, dove una grande diga di pietra teneva a bada le onde che una volta all'anno, nella ricorrenza della distruzione di Ib, si alzavano misteriosamente dalla superficie. A Sarnath c'erano cinquanta strade che correvano dal lago alle porte delle carovane, e altre cinquanta le intersecavano. Erano pavimentate d'onice, ma quelle su cui passavano cavalli, cammelli ed elefanti erano coperte di granito. Le case di Sarnath erano di mattoni smaltati e calcedonio, e ognuna aveva un giardino recintato e un laghetto di cristallo. Venivano costruite con strani procedimenti, perché nel mondo non ce n'erano altre simili, e i viaggiatori di Thraa, Ilarnek e Kadatheron si meravigliavano alla vista delle cupole splendenti da cui erano sormontate.
Ma ancora più belli erano gli edifici pubblici e i templi, e i giardini voluti dall'antico re Zokkar. E c'erano molti palazzi, i minori fra i quali sarebbero passati per capolavori a Thraa, Ilarnek e Kadatheron. Alcuni erano così alti che gli occupanti potevano immaginare di essere in cielo, e quando venivano illuminati con torce bagnate nell'olio di Dothur le pareti rivelavano enormi affreschi che raffiguravano re ed eserciti, in uno splendore che ispirava e stupiva l'occhio. Le colonne che reggevano i palazzi erano moltissime, tutte di marmo colorato e scolpite in motivi di bellezza insuperabile. Nella maggior parte degli edifici i pavimenti erano costituiti da mosaici di berillio, lapislazzuli, onice, carbonchio e altri materiali sceltissimi, disposti in modo tale che l'osservatore aveva l'impressione di camminare su letti dei fiori più pregiati. E c'erano fontane della stessa bellezza che riversavano getti d'acqua profumata, creando effetti scenografici. Ma il più bello era il palazzo del re di Mnar e delle altre terre. Il trono poggiava su due leoni d'oro e numerosi gradini lo separavano dal pavimento lucente: era ricavato da un unico pezzo d'avorio, anche se nessuno ricorda da dove sia potuto venire un blocco simile. Nel palazzo c'erano infinite gallerie e anfiteatri dove uomini, elefanti e leoni combattevano per il piacere dei re. A volte gli anfiteatri venivano inondati con l'acqua portata dai grandi acquedotti e si inscenavano battaglie navali o terribili combattimenti fra uomini e micidiali creature marine.
I diciassette templi turriti di Sarnath, slanciati e stupefacenti, erano fatti con una pietra multicolore che non si conosce altrove; la torre più alta arrivava a mille cubiti e al suo interno vivevano i sacerdoti, in una magnificenza che aveva poco da invidiare a quella dei re. Al pianterreno, in sale enormi e splendide come quelle dei palazzi, le folle adoravano Zo-Kalar, Tamash e Lobon, gli dei principali di Sarnath, i cui altari avviluppati dal-l'incenso erano come troni di monarchi. Le raffigurazioni di Zo-Kalar, Tamash e Lobon non somigliavano a quelle degli altri dei perché erano così realistiche da dare l'impressione che sui troni d'avorio sedessero gli dei barbuti in persona; e in cima a una scala di splendidi zirconi si apriva la sala superiore, da cui gli alti sacerdoti contemplavano di giorno la città, il lago e la pianura, e di notte la luna misteriosa, le stelle e il loro riflesso nellago. Lì veniva recitato l'antichissimo esorcismo contro Bokrug, il rettile acquatico, e lì era collocato l'altare di crisolito su cui Taran-Ish aveva lasciato il simbolo della distruzione.
Un'altra meraviglia erano i giardini voluti dall'antico re Zokkar: si trovavano al centro di Sarnath ed erano circondati da un alto muro, e protetti da una possente cupola di vetro attraverso cui passava la luce del sole, della luna e delle stelle quando era sereno. Se il tempo era coperto, fulgide riproduzioni degli astri pendevano dalla volta. D'estate i giardini erano rinfrescati da correnti profumate mosse da opportuni ventilatori, d'inverno erano riscaldati da fuochi nascosti: in questo modo, al loro interno era sempre primavera. Fiumicelli che scorrevano su sassi lucenti, ed erano attraversati da numerosissimi ponti, dividevano giardini e aiuole di sfumature diverse; alcuni si trasformavano in cascate, altri sfociavano in laghetti ornati di fiori. Sui torrenti e i piccoli laghi nuotavano i cigni, mentre il canto di uccelli rari riproduceva l'armonia delle acque. Le sponde verdi salivano a formare terrazze ordinate e ornate qua e là da conche di fiori aromatici e vigne, da panche di marmo e sedili di porfido. Infine, minuscoli tempietti o semplici altari consentivano di riposare e pregare agli dei minori.

Ogni anno si celebrava a Sarnath la festa della distruzione di Ib e in quell'occasione abbondavano vino, canzoni, danze e divertimenti d'ogni tipo. Grandi onori venivano tributati alle ombre di coloro che avevano annientato le misteriose creature, e il loro ricordo e quello degli antichi dei veniva schernito da ballerini e liutisti cinti di rose nei giardini di Zokkar. E il re si affacciava sul lago e malediceva le ossa dei morti che giacevano sul fondo. In un primo momento i sacerdoti non avevano gradito una festa del genere, perché fra quelli della loro casta si tramandavano leggende sulla sparizione del grande idolo e sulla morte di Taran-Ish, stroncato dalla paura dopo aver vergato l'ultimo avvertimento; dicevano, inoltre, che dalla torre più alta si vedessero luci nelle acque del lago. Ma col passare degli anni, e poiché non si verificava nessuna calamità, anche loro cominciarono a ridere, a lanciare maledizioni e ad unirsi alle orge dei festanti. Non avevano compiuto essi stessi, nell'altissima torre, l'esorcismo contro Bokrug, il rettile acquatico? Mille anni di abbondanza e piaceri trascorsero a Sarnath, meraviglia del mondo e orgoglio di tutta l'umanità.
I festeggiamenti per il millesimo anniversario della distruzione di Ib furono inconcepibili. Se ne era parlato per dieci anni in tutta Mnar e quando si avvicinò la ricorrenza arrivarono a cavallo, a dorso di cammello e di elefante uomini di Thraa, Ilarnek, Kadatheron e di tutte le città di Mnar e paesi confinanti. Davanti alle mura di marmo, la notte della festa, furono piazzate le tende di principi e viaggiatori, e le sponde del lago risuonarono dei canti dei celebranti felici. Nella sala del banchetto dormiva il re, Nargis-Hei, ubriaco dei vini sottratti ai sotterranei di Pnath, la vinta, e circondato da nobili in festa e schiavi concitati. Durante la festa vennero servite strane prelibatezze: pavoni dalle isole di Nariel nell'Oceano di Mezzo, giovani capri dalle remote colline di Implan, gobbe di cammello del deserto di Bnaz, noci e spezie dei boschi cidatrici, perle di Mtal bagnata dalle onde disciolte nell'aceto di Thraa. Di salse c'era una quantità incredibile, preparate dai cuochi più raffinati di Mnar e adatte al palato di tutti i convitati. Ma la pietanza più ambita era costituita dai gran pesci pescati nel lago, tutti enormi e serviti in piatti d'oro incrostati di rubini e diamanti.

Mentre i nobili e il re gozzovigliavano all'interno del palazzo, ammirando la portata principale nei vassoi d'oro, altri si divertivano come potevano. I gran sacerdoti facevano baldoria nella torre del tempio massimo e i principi dei paesi vicini li imitavano nei padiglioni fuori le mura. Gnai-Kah, un sacerdote, fu il primo a vedere le ombre che calavano nel lago dalla luna a tre quarti e le minacciose nebbie verdi che si alzavano dalle sponde fino al cielo, avvolgendo in un alone sinistro le guglie e i tetti della condannata Sarnath. Poi, quelli che si trovavano nelle torri e fuori le mura videro strane luci sull'acqua e si accorsero che il gran masso di Akurion, una sporgenza rocciosa che s'innalzava maestosa nei pressi della riva, era quasi sommersa. Il terrore crebbe rapidamente ma in modo insinuante, sic-ché i principi di Ilarnek e della lontana Rokol ripiegarono tende e padiglioni e partirono alla volta del fiume Ai, benché quasi non si rendessero conto del perché.
Poi, verso la mezzanotte, le porte di bronzo di Sarnath si spalancarono e riversarono una folla impazzita che annerì la pianura, poiché tutti i notabili e i viaggiatori fuggivano in preda al terrore. Sui volti della folla era impressa un'espressione di pazzia che nasceva da un terrore schiacciante, e sulle labbra correvano parole così tremende che nessuno voleva soffermarsi a verificarle. Uomini con gli occhi dilatati dalla paura gridarono a squarciagola ciò che avevano visto nel salone reale, perché attraverso le finestre non apparivano più le figure di Nargis-Hei e dei suoi nobili e schiavi, ma un'orda di creature indescrivibili, silenziose e con gli occhi sporgenti, le labbra grosse e flaccide e orecchie stranissime; creature che danzavano orribilmente, stringendo nelle zampe piatti d'oro tempestati di gemme da cui guizzavano fiamme grottesche. E principi e viaggiatori che fuggivano dalla condannata Sarnath sui cavalli, cammelli ed elefanti, guardarono un'altra volta il lago avvolto dalle nebbie e videro che il grigio spuntone di Akurion era ormai sommerso.
I racconti di quelli che erano fuggiti da Sarnath si diffusero in tutta Mnar e nelle terre vicine, e le carovane impararono ad evitare la città maledetta e i suoi preziosi metalli. Passò molto tempo prima che qualcuno osasse avventurarsi da quelle parti, e anche allora solo i giovani della lontanissima Falona ebbero il coraggio di affrontare il viaggio: uomini dai capelli biondi e gli occhi azzurri che non avevano niente in comune con il popolo di Mnar. Gli avventurosi si spinsero sul lago per vedere Sarnath, ma pur avendo individuato il lago e il gran masso di Akurion che si innalza nei pressi della riva, non trovarono traccia della meraviglia del mondo e dell'orgoglio dell'umanità. Dove un tempo erano sorte mura di trecento cubiti e torri ancora più alte, ora regnava la sponda paludosa; dove un tempo avevano abitato cinquanta milioni di uomini ora strisciavano soltanto le verdi, detestabili lucertole acquatiche. Persino le miniere di metalli preziosi erano esaurite, perché la rovina si era abbattuta su Sarnath.
Ma, semisepolto fra le pietre, venne intravisto uno strano idolo verde, un idolo antichissimo incrostato d'alghe e modellato sulla figura di Bokrug, il gran rettile acquatico. Quell'idolo, conservato nel tempio maggiore di Har-nek, fu adorato in seguito in tutta la terra di Mnar, sotto la luna calante.

(The Doom that Came to Sarnath, H.P. Lovecraft, 3 dicembre 1919)

Nessun commento:

Posta un commento

Lasciate ogni Speranza, Voi ch' entrate, ma anche un commento può bastare...
L' autore non è responsabile per quanto rantolato dai lettori nei commenti. I Commenti ritenuti offensivi, razzisti e contenenti altra robaccia simile verranno cancellati. Cthulhu punirà i responsabili...
Vi prego di firmarvi in qualche modo, più commenti anonimi nello stesso post potrebbero creare confusione..